Settimana corta, la chiedono tre lavoratori su dieci. Flessibilità fondamentale per accettare un nuovo incarico
La settimana corta è ancora un “esperimento” in Italia, con qualche azienda ha iniziato a introdurla nella propria organizzazione. Ma promette di essere una di quelle prassi che crescono e possono trasformare – dal basso – il modo di impostare la vita lavorativa (e non solo). Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha assicurato che sarà sul tavolo del congresso del sindacato dei prossimi giorni. All’estero molte sperimentazioni hanno dato risultati incoraggianti su soddisfazione e produttività dei lavoratori, a cominciare da quello condotto in grande stile dal Regno Unito. E, a vedere da quel che dicono i diretti interessanti, anche dalle nostre parti troverebbe un buon consenso.
A indagare il tema è stata una indagine di Randstad, secondo la qualeun terzo dei lavoratori italiani “vorrebbe una settimana lavorativa di quattro giorni, al posto di quella tradizionale”. Si tratta, secondo il Workmonitor che ha interrogato 35mila persone nel mondo e mille in Italia, del 29% dei dipenndenti, per la precisione. “Il 9% invece vorrebbe lavorare in orari tradizionali, ma in giorni diversi della normale settimana lavorativa. Il 14% in turni divisi, alla mattina presto e alla sera tardi. Il 6% vorrebbe lavorare di notte. Meno di un lavoratore italiano su due, invece, il 43%, preferisce l’opzione di giorni e orari tradizionali”.
Ci sono diverse sfumature di preferenze a seconda dell’età. Quelli che la vorrebbero più di altri hanno tra i 35 e i 44 anni: verrebbe da dire che la loro preferenza (al 32% del totale) potrebbe esser motivata dalla presenza di figli piccoli in famiglia. Si scende al 16% tra i giovanissimi, tra i 18 e i 24 anni. Anche la tipologia delle mansioni influenza l’approccio: a prediligere la settimana corta sono più gli impiegati (favorevoli nel 32% dei casi), degli operai (15%).
Se dunque sull’accorciamento della settimana lavorativa c’è apertura ma non un plebiscito, le proporzioni sono ben più nette quando si parla di flessibilità in senso più ampio. La considera rilevante la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani, l’83%. In questo caso gioca il fatto di averla “assaggiata”, durante gli utlimi tempi: secondo Randstad, “il 27% ha visto introdurre forme di flessibilità negli ultimi 12 mesi, dal proprio datore di lavoro, potendo stabilire autonomamente il proprio orario professionale”. E ora non ci vogliono più rinunciare: “Il 35% dei lavoratori italiani ritiene che un motivo valido per non accettare un’offerta di lavoro sia che questa non offra flessibilità di orario e non permetta di stabilire il proprio orario di lavoro”.
“I risultati delle prime sperimentazioni di una settimana lavorativa di 4 giorni sono interessanti, ma è difficile immaginare oggi i possibili effetti dell’introduzione su larga scala – commenta Valentina Sangiorgi, Chief HR Officer di Randstad -. Di certo, il Workmonitor rivela che molti italiani sono favorevoli alla possibilità della settimana corta, ma anche che il tema è divisivo, perché le preferenze di orario sono le più diverse. In generale, una nuova modulazione dell’orario di lavoro può produrre benefici per lavoratori e aziende, ma deve tenere in considerazione le esigenze di tutti: di chi ricerca un giorno libero in più, come di chi necessiterebbe piuttosto di una giornata corta, ad esempi per impegni familiari. Al di là delle mode, è importante compiere scelte organizzative in grado di soddisfare i bisogni delle persone”.
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